L’edificio presenta diverse caratteristiche interessanti. Il concorso, bandito nell’autunno del 1910, vide prescelti gli architetti Emanuele Rutelli e Paolo Bonci, allora con studio a Genova. Il committente, la Tavola Valdese, si era riservato nel bando la proprietà dei tre diversi progetti presentati e il risultato finale è frutto della commistione di due diverse proposte: la facciata venne presa dal progetto dell’architetto Pazzi mentre la distribuzione degli spazi è quella proposta da Rutelli-Bonci. La stessa signora Kennedy, consultati amici architetti dell’Università di Princeton, fece in una lettera il disegno di come avrebbe voluto fosse la chiesa.
Tra la fine del 1910 e la primavera del 1911 vengono stesi numerosi progetti per la facciata che, modificati di volta in volta in più di un particolare, porteranno al progetto depositato in Campidoglio e approvato nell’agosto del 1911. Nel corso dell’opera saranno apportate ulteriori modifiche.
Iniziata nell’estate del 1911, la costruzione sarà terminata due anni dopo e sarà la prima chiesa di Roma costruita con strutture portanti in cemento armato, tecnologia all’avanguardia per il periodo. Il lavoro fu affidato alla Società Porcheddu di Torino, che aveva al proprio attivo diverse opere importanti: dalla costruzione dei silos del porto di Genova (1899-1901) al ponte Risorgimento a Roma (1910-11); ma vale la pena ricordare anche il più noto Lingotto di Torino (1916-22).
Il nuovo sistema Hennebique che venne usato condiziona anche la struttura interna e viene intelligentemente piegato ad elemento decorativo, nelle colonne che sorreggono la balconata, nei capitelli, nella scansione del soffitto.
Per l’esterno si fa invece una scelta completamente diversa, alla ricerca di uno stile nazional-protestante che permettesse di identificare l’edificio immediatamente come chiesa ma non cattolica.
Se già dall’esterno l’osservatore comprende di trovarsi di fronte ad una chiesa, ma molto particolare, l’interno scioglie ogni dubbio. Stile, colore, messaggio, tutto è insolito.
La decorazione interna del tempio è un vero gioiello del Liberty, dovuta a Paolo Antonio Paschetto (1885-1963), professore all’Accademia di Belle Arti di Roma.
Paschetto è l’autore della decorazione, delle vetrate e del mosaico posto sul fronte della chiesa – nonché dei disegni degli arredi - vi lavorò intensamente dai primi mesi del 1912 alla fine del 1913, donandoci un’opera che “costituisce forse uno degli esempi più riusciti dell’integrazione fra spazio architettonico ed elemento decorativo” (Daniela Fonti). L’elemento più prezioso e importante è senza dubbio costituito dalle vetrate, per la particolare tecnica con cui sono state eseguite. Le vetrate di Paschetto sono il frutto del recupero della antica tradizione della vetrata artistica, con la tecnica della legatura a piombo, di cui in quegli anni un gruppo di artisti – Bottazzi, Cambellotti, Grassi - riuniti intorno a Cesare Picchiarini discuteva con entusiasmo. Una tecnica costosa e complessa, che per il materiale necessario doveva ricorrere all’estero, in Germania e Boemia, dove ancora si producevano quei vetri uso antico, brillanti, opalescenti, dalle infinite gradazioni di colore, necessari a trasformare una vetrata in un’opera d’arte. La chiesa di Piazza Cavour ha tre ordini di vetrate lungo le due navate: il primo con immagini, il secondo con soggetti floreali, il terzo con decorazioni geometriche.
Le sedici vetrate del primo ordine rappresentanoquasi delle incisioni, la linea è il loro punto di forza: l’uso di diversi spessori del profilato di piombo permette all’artista di esprimersi liberamente nel disegno e di amplificare intenzionalmente la linea dove vuole ottenere effetti più marcati. In queste vetrate l’immagine serve ad esplicitare il versetto biblico che sovrastano.
“Fu la caratteristica dell’arte cristiana primitiva l’uso abbondante del simbolo, alla cui sobrietà fu affidato il compito di esprimere non tanto delle definizioni teologiche quanto il ricco
contenuto della fede cristiana vissuta. Ispirandosi liberamente alla decorazione delle catacombe ed ad alcuni dei più bei passi della Bibbia, l’artista ha tradotto nel linguaggio dell’arte alcune
delle più importanti affermazioni della dottrina e della vita cristiana”
(Ludovico Paschetto, archeologo).
Come quelle di un Liber pauperum, le immagini delle sedici vetrate, “lette” da destra a sinistra seguendo l’ordine logico e teologico scelto da Paschetto, parlano di Dio, dell’anima,
della fede, dei sacramenti, della vita con Cristo, della vita eterna e rappresentano il principale messaggio che il tempio vuole trasmettere: una via salutis che inizia con
la manifestazione del pruno ardente, del nome tre volte santo di Dio e termina con il pavone, simbolo della vita eterna, del compimento della vita cristiana. Un discorso di fede che riscopre
l’arte come suo possibile linguaggio; una fede che pone, scolpendone il volto nel pulpito, Arnaldo da Brescia e Gerolamo Savonarola accanto a Martin Lutero e Giovanni Calvino.
“È una fede che accompagna tutta la storia della Chiesa e si manifesta dove la Parola di Dio è presa sul serio, nella sua forma critica e salvifica” (Paolo Ricca).
La costruzione del tempio viene pensata all’inizio del secolo dal pastore Arturo Muston. Presidente del “Comitato di Evangelizzazione”, che aveva seguito la nascita di numerose comunità valdesi e curato la edificazione dei loro luoghi di culto, progetta sin dal 1906 la costruzione di un nuovo luogo di culto a Roma sulla spinta del successo della predicazione evangelica e anche sulla scia dell’esplosione urbanistica della città. Come il primo era stato costruito sulla allora Via Nazionale (oggi via IV Novembre), nei pressi del Quirinale e dell’espansione nel centro, per questo secondo viene anche individuato un quartiere in costruzione, Prati, quartiere operaio e impiegatizio. L’idea di Muston, ma anche la volontà della finanziatrice, Emma Baker Kennedy (1833-1930) era che esso dovesse essere dedicato sì alla evangelizzazione, ma anche ad una serie di opere sociali per il quartiere: spazi per incontro dedicati alle donne, ma anche più in generale a tutti gli abitanti; un ambulatorio e un dispensario medico; una palestra; e poi una “Casa del Soldato” con sale di scrittura, lettura, e un “diurno” per la cura e l’igiene del corpo. Subito dopo l’inaugurazione, in quei locali vennero aperte anche una scuola di lingue (inglese e tedesco) e una scuola di cucito, oltre agli spazi dedicati ai militari delle vicine caserme di viale delle Milizie.
Le finalità a cui si voleva destinare il nuovo edificio ne spiega anche la dimensione, tanto grande per una comunità evangelica allora tanto esigua. Certo, la grande utopia di una Italia evangelica, nutrita dalla generazione risorgimentale, alimentava la spinta a progettare di Arturo Muston, ma anche la attenzione per il disagio sociale a cui un cristiano non può restare indifferente e inoperoso, che aveva preso corpo nel movimento del Risveglio sviluppatosi in forme diverse, in tutto il mondo protestante, dall’America al vecchio continente, lascia la sua traccia anche con il tempio di piazza Cavour, così fortemente voluto da Emma Baker Kennedy, che con la sua notevolissima ricchezza sostenne la diffusione dell’Evangelo e la creazione di opere socialmente utili in diverse parti del mondo.