La chiesa valdese di piazza Cavour iniziava la sua vita il pomeriggio dell’8 febbraio 1914 in condizioni del tutto anomale.
Da un lato era nuova ma poteva vantare oltre quarant’anni di presenza nella città di Roma: i valdesi erano arrivati a Roma il 20 settembre 1870, con il loro carico di Bibbie in italiano
trasportate su un carretto trainato da un cane; dall’altro nasceva senza fedeli, ma in realtà aveva alle spalle una comunità solida di oltre 300 membri. Essa era infatti stata pensata per
dedicarsi all’evangelizzazione, come secondo locale di culto della esistente comunità di via IV Novembre: vi si sarebbero svolti diversi culti durante la settimana e avrebbe sempre tenuto le
proprie porte aperte per accogliere i visitatori, conoscere e farsi conoscere.
Le attività sociali erano iniziate subito: i corsi di lingua e la Casa del Soldato erano stati attivati, ma la guerra aveva impedito che fossero avviate tutte quelle che erano state programmate. Come vita comunitaria essa era invece cresciuta, negli anni della guerra, rendendosi progressivamente sempre più autonoma da quella di via IV Novembre.
Dal 1922 aveva avuto un proprio pastore, Paolo Bosio, e nel 1934 il Sinodo le riconosceva la piena autonomia: i membri iscritti erano allora circa 300. Il pastore Bosio, che la regge per oltre un ventennio, organizza instancabile numerosissime attività. Fortemente impegnato nell’attività comunitaria, conservatore e monarchico, non esita durante l’occupazione tedesca a nascondere nel retro dell’organo una famiglia di ebrei e alcuni giovani che non vogliono recarsi a Salò, convinto che faccia parte del suo ministero pastorale. Nel 1948, quando si ritira per raggiunti limiti d’età, la comunità di piazza Cavour è divenuta il principale punto di riferimento dell’evangelismo romano. Questo resta un dato costante nella storia della chiesa, che viene salvaguardato e diversamente declinato dai pastori che si susseguiranno nei decenni successivi, fino ad oggi, affrontando di volta in volta situazioni comunitarie, sociali e politiche profondamente diverse.
Le difficoltà degli anni ’50 e la tenace azione anti-protestante della chiesa cattolica richiedono al pastore Roberto Comba ( 1948-1961) interventi continui, presso le autorità e nelle famiglie ; anche la comunità tende a rinchiudersi su se stessa.
Il settennio del pastore Carlo Gay (1961-68) è segnato dalla passione teologica e politica: si studia KarkBarth, si intensificano i rapporti con le altre realtà evangeliche, e l’invito a partecipare al Concilio vaticano II alimenta molte speranze di dialogo. Anche l’interesse per la vita politica cresce: la crisi di Cuba, la guerra del Vietnam, i movimenti del ’68 sono tutte occasioni di riflessione, di incontri di preghiera per la pace, ma anche della scelta di aprire il tempioagli studenti inseguiti dalla polizia e di accogliere nella facoltà di teologia i dibattiti più accesi.
La comunità è attraversata da contrapposizioni profonde che il pastore Alberto Ribet (1968-1975) si impegna a sciogliere con un attento lavoro pastorale e attenzione al dialogo con le vicine parrocchie cattoliche su tematiche essenzialmente sociali.
Il quindicennio del pastore Franco Sommani (1975-1990) si giova della riacquistata serenità e di una più matura e ampia partecipazione alla vita politica del paese: la difesa dei diritti (referendum per la legge 194), le manifestazioni per la pace, l’accoglienza agli stranieri – siano essi rifugiati politici e semplici migranti sono ampiamente condivise. La chiesa comincia a parlare anche con gli striscioni che appaiono sulla facciata.
Attività comunitaria e partecipazione politica restano una costante della vita della chiesa anche con la pastora Maria Bonafede (1990-2003) e con il pastore Antonio Adamo (2003). Un pastore donna
suscita senza dubbio grande interesse e curiosità, ma presto sono le sue qualità personali a imporla come interlocutore prezioso al tavolo interreligioso del Comune, agli incontri sul Giubileo,
ai dibattiti sulla laicità dello Stato.
La comunità prosegue , anche con il pastore Adamo, a rispondere a quanti la interrogano sulla sua storia e le sue scelte di fede, a discutere con passione temi di attualità, a difendere i diritti
ancora non adeguatamente riconosciuti. Sono nate così, negli ultimi anni, alcune iniziative in questo senso: l’apertura alla cittadinanza di uno sportello per la raccolta del Testamento biologico
( 2011), ma anche la scelta di benedire l’unione tra due sorelle (2013). Frutto dell’utopia di una Italia evangelica nutrita dalla generazione risorgimentale e insieme delle speranze di quella
successiva, più consapevolmente e laicamente italiana, “cosciente delle proprie responsabilità nei confronti di una società in cui si era chiamati ad entrare e agire con il voto e l’azione
politica” (Giorgio Spini), la chiesa valdese di piazza Cavour non ha rinnegato quella utopia e ha cercato di farsi carico di quelle speranze.